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Produzioni & prodotti in provincia e fuori

di Alberto Palombi

Le “ciambelle” salate a doppia cottura sono una preparazione comune della tradizione di tanti paesi della Sabina e non solo, e assumendo pur nella stessa similiare ricetta dizioni diverse (a zampa de bove, a cancellu, de sant’Angelo, ecc.) da paese a paese.
Le ciambelle a zampa “monterotunnesi” si preparano tradizionalmente durante la Festa di S. Antonio Abate che si svolge il 17 Gennaio, per la loro forma e dimensione hanno l’aspetto di un’orma dello zoccolo del bovino. Gli ingredienti: per un chilo di farina, sono 33 cl di vino, 33 cl di olio vergine, 3 cucchiaini di sale, 3 cucchiai di semi di anice; mamma aggiungeva una cartina di ammoniaca (1 cucchiaino di ammoniaca in polvere) che abbassava l’acidità del forte vino e robusto olio locale ed evitava che l’impasto si seccasse rapidamente (alcuni per stabilizzare l’impasto aggiungono l’uovo) poi formate le caratteristiche ciambelle, si mettevano nell’acqua bollente e una volta cotte venivano asciugate su tavole di legno e poi dopo ore, ripassate nel forno a “croccantarle” e dorarle. La Pia Unione che tiene viva insieme al comune e la festa del santo da secoli (che si svolge in pompa magna e con l’ausilio di cavalli e torce e che attira migliaia di visitatori in tre giornate) e il prodotto correlato, ne produce, e a spese del nuovo “signore” entrante alla ricorrenza annua, quintali di “ciammelle” che vengono e offerte e vendute per gli scopi del sodalizio. E qui voglio precisare, che sono ormai poche le donne monterotondesi che ancora si tramandano la ricetta e l’attuano come si deve.
E allora possiamo gustarle senza troppa perdita da:
Forno Dolce Caffè, Via dell’Unione 110 – Monterotondo
Forno Latino, Via Antonio Moscatelli 310 – Mentana


In Sabina
regione divisa nell’alta (reatina) e bassa (romana)

Le cordelle sabine o “cecamariti”: una pasta lievitata ricavata dalle rimanenze dell’impasto usato per fare il pane (famose anche quelle maceratesi, marchigiane di Castelsantangelo sul Nera, condite con guanciale, salsiccia e pecorino) la pasta viene arrotolata appunto come delle piccole corde non uniformi, cotta e condita con pomodoro, cipolla, e formaggio grattato, una volta il pecorino, ora con il parmigiano. Erano dette anche popolarmente “cecamariti”, perché di fatto la ghiottoneria preparata accecava i mariti al rientro dal lavoro da non far loro vedere i difetti della casa o della stessa moglie.


Come negli scacchi e a sorpresa v’è la detta “variante di Orvinio”

(luogo montano – 840 metri – di meraviglia paesaggistica nel Parco dei Monti Lucretili)
dove trattano le cordelle a modo loro e dopo averle “stirate” le condiscono con un pestato d’aglio locale e affatto gentile, sale grosso e peperoncino con olio d’extra vergine, per stomaci più che da sedentari giocatori di scacchi, da forti passisti montani, robusti giocatori di rugby e da un certo Mimmo Fabiano gourmand verace romano, che sconsiglieremmo peraltro alcuno da invitare (come se dice a Roma: è mejo faje n’vestito, che s’arisparmia).


Palestrina (Rm)… i giglietti di Palestrina

portati in città dai Barberini al loro ritorno dall esilio francese, in una corte tappezzata di decorazioni gigliesche, simbolo reale, semplici biscottini con la forma schematizzata del fiore e fatti con semplice farina, zucchero e uova ma ariosi come i pavesini.
Forno Fiasco – Borgo S. Pietro, 1 – Castel S. Pietro Romano
Forno Salomone, Via Prenestina Nuova, 95 – Palestrina


Frascati (Rm)

Pupazza frascatana farina miele ritagliata nella sfoglia alta e spessa di farina, olio e miele condita poi con perline, canditi e chicchi di caffè o d’orzo. Pupazza o mammana o levatrice di campagna con tre seni due per il latte ed uno posticcio per il vino con cui calmare i neonati riottosi tra le poppate di latte.


Il fieno di Canepina

(cittadina viterbese a 500 metri d’altezza nella Tuscia sui Monti Cimini)
è una pasta che fanno dal ’600. Sarebbe poi una pasta all’uovo tipo fettuccine che però ha uno spessore di sfoglia dal mezzo millimetro a due decimi sotto l’uno: il fieno appunto che si scioglie in bocca. Ogni etto di farina doppio zero (anticamente era la farina di molino a pietra setacciata più volte) un uovo, e con l’aggiunta di acqua si forma un impasto che si lascia riposare a palla, coperto un paio d’ore, e si stende con il mattarello a sfoglia come detto finissima, si arrotola e poi si taglia abilmente sottile, quindi si immerge a ventaglio e fa cuocere in acqua bollente molto al dente, si scola e si immerge in acqua fredda con il sale, si aspettano i commensali (dando un po’ di tempo ai ritardatari) si mette nel o con il sugo abbondante. Se non avete per amica una delle grandi massaie canepinensi od amici all’uopo, dovete andare nel pastificio locale dove trafilano al bronzo “il fieno” con essiccazione a bassa temperatura per due giorni e mezzo e ve lo vendono bellefatto e che dura dicono anche due, tre anni. E ricordando la ricetta potete provarla (provate più volte in famiglia, che è pasta difficile, prima di offrirla ad ignavi amici che potrebbero ai fatti non solo declinare ogni vostro altro invito, ma togliervi il saluto).
Pastificio Fanelli, Via Paolo Braccini 18 Canepina (Vt). Tel. 0761-750744 (mattino / ore 17)


Artena (Rm)

a 400 metri, incantevole cittadina sui monti Lepini
La nocchiata: nocciole locali piccole e di montagna, sminuzzate cotte insieme al miele (e sino al punto giusto, che lo sanno loro qual’è) stese sul marmo a raffreddare e tagliate a piccoli rombi, ognuno dei quali è avvolto tra due foglie d’alloro non cittadino. È dolce difficile da trovare, potete contare solo sulla benevolenza delle bellissime (a qualsiasi età) casalinghe d’Artena.

Prodotti da asporto & degustazione in provincia

IL PANE nei soli forni a legna da noi prediletti e per bontà e per tradizione
quello da scegliere e consumare possibilmente e non quelle orrende misture gommose ed industriali che ci propinano nei supermercati (che hanno malamente sostituito i pizzicaroli o negozi alimentari) e che a fine giornata potrebbero andare nell’“umido” e senza tema.


GENZANO: la città di primo mattino vi accoglie con l’aria frizzantina dei castelli a 450 metri di altitudine, condita con il profumo inebriante della classica pagnotta romana* pensiamo che il profumo di pane debba venire diffuso nelle zone di guerra per farle cessare.
Pane con farina 0 e doppio 0, cruschello di grano e doppia lievitatura.
Forno a legna Da Sergio, Via Italo, Belardi 13
Forno a legna Moretto, Corso Don Minzoni 13
Forno a legna F.lli Marcellini, Corso Don Minzoni 4
Forno a legna I Fornai – decentrati ma non ultimi – Via Generale Dalla Chiesa 22


LARIANO: e sempre nei castelli a 350 metri, con un pane di farina semintegrale “scuro” della tradizione contadina.
Pane con farina di grano semintegrale e doppia lievitatura cottura con legna di castagno.
Antico forno a legna Ciro, Via Roma 224
Forno a legna S. Eurosia, Via Napoli 146
Forno a legna di Caliciotti Danilo, Via Garibaldi 223


ALLUMIERE: A 500 metri sui monti della Tolfa con un pane caratteristico ed unico.
Pane con grano duro privo di sale a semola rimacinata, lievito naturale, con caratteristica coloritura gialla.
Forno a legna Pistola, Via Roma 35-41


VICOVARO
Sui Monti Lucretili a 300 metri immerso nel verde con un pane storico, e giunto a Roma negli anni 50 con i fagotti dei “manovali muratori” che scendevano nei cantieri edili della capitale, e con cicoria, cipolle ed olio o raro formaggio a companatico. Pane oramai scomparso se non nella dizione dei forni industriali che fanno qualsiasi pane di qualunque località e tutti eguali nel sapore.
Pane con farina 0 e o1 a doppia lievitazione, con incisioni sulla crosta, e cotto in forni a legna alimentati da ginestra.
Non ci risultano forni a legna pubblici in auge nella città, vi sono solo rare produzione casalinghe e andrebbe “resuscitato” da parte della sua amministrazione questo presidio storico e antropologico di gusto.


MONTELIBRETTI
A 232 metri sui Monti Sabini con un pane di nicchia, un casareccio a crosta bianca cotto a legna.
Pane con farina doppio O lievito di birra a cui viene aggiunto un panetto di pasta acida rianimata con acqua (biga) fatto lievitare
2-3 ore, poi suddiviso nelle pezzature e posto vicino al fuoco in assi di legno e coperto con panni per altre 2 ore e cotto al forno a legna.
Pane a crosta bianca con grandi occhiature nella mollica.
Forno a legna di Desideri Graziella, Via Colle Lisandrello 5

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